La Siss nel 2015 ha dedicato il suo consueto incontro di studio al 70° della fine della guerra di Liberazione, scegliendo di svolgerlo dal 16 al 18 aprile alla presenza di alcune classi di giovani studenti. L’iniziativa è stata accolta benevolmente sia dal Comune di Marzabotto che dalla Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio dei ministri. Entrambi hanno inserito il nostro Seminario nei calendari delle celebrazioni per questo anno così importante e ne siamo onorati, come pure del patrocinio della Regione Emilia Romagna, del Parco di Monte Sole, dell’Anpi nazionale e di Marzabotto, della Società italiana di storia militare, della Società italiana di storia contemporanea, e, da parte sportiva, del Coni centrale e regionale, dell’Accademia olimpica nazionale italiana, della Federazione italiana baseball e softball (fulcro della due giorni di didattica per le scuole inserita nel Seminario), dell’Associazione medaglie d’oro al valore atletico, del Centro studi Sports Records, della Sports Museum Foundation della Fiorentina. Enti tutti prestigiosi che hanno mostrato di apprezzare l’operato della Siss e di volerlo sostenere.
L’anno precedente la Siss aveva ricordato l’anniversario dell’inizio della prima guerra mondiale con un convegno dal titolo “Lo sport alla Grande Guerra” che ha avuto un notevole successo di pubblico, tra cui si è notata la partecipazione degli studenti e gli Atti, appena stampati, testimoniano il lavoro svolto che ha avuto anche in quell’occasione accoglienza presso il Comitato governativo della celebrazione dei grandi eventi. Questo è parso un sintomo da un lato della serietà della proposta della Siss, per quanto originale rispetto agli standard delle celebrazioni dei grandi eventi di interesse nazionale, dall’altro di un cambiamento in atto nel mondo della cultura italiana. Che il mondo della Cultura e dell’Accademia si rendano conto dell’importanza dello sport quale strumento di formazione dei giovani non può che essere un sintomo positivo per lo sviluppo della cultura stessa e in particolare di quella sportiva. Quest’ultima è ancora troppo deficitaria in Italia perché lo si continui a denunciare senza poi tentare concretamente di risolvere la questione. L’attività della Siss ha invece una connotazione di impegno concreto in questa direzione. Del resto è noto che il linguaggio dello sport ha grande presa sui giovani, perché allora non utilizzarlo per comunicare loro conoscenze e cultura?
Tornando ai convegni della Siss, essi vengono organizzati per approfondire la ricerca, raccogliere quella già effettuata nella nostra Collana di Quaderni (gli Atti sulla prima guerra mondiale saranno il n.4, “Sport e Resistenza” il n.5) e anche per avvicinare i giovani studiosi a un settore particolare ma importante della ricerca che può scaturire dalla storia dello sport. Una disciplina, quest’ultima, che dovrebbe rappresentare una base fondamentale per le lauree di scienze motorie e che invece è stata gradualmente esiliata nel contesto della loro “medicalizzazione”.
Può sembrare un accostamento azzardato quello dello sport alla Resistenza, alla guerra di Liberazione, al 25 aprile. Eppure il tratto più caratteristico comune ai due ambiti è proprio quello della gioventù: l’avere avuto, entrambi, sport e guerra, gli stessi protagonisti, i giovani. Sono i giovani che costituiscono la struttura delle armate di ogni paese e allo stesso tempo sono sempre i giovani quelli che prevalentemente affollano le palestre e i campi sportivi sin dall’inizio del ‘900. In Italia, allo scoppio della prima guerra mondiale, furono impiegate poco più di un milione di persone, tutte prevalentemente giovani, alle quali si aggiunsero i “ragazzi del ’99” dopo la disfatta di Caporetto, quando furono annientati più di 300mila soldati e si dovette ricorrere all’impiego dei diciottenni. Ben si intuisce allora il rapporto intimo e diretto che ci fu tra la guerra e lo sport: quello del sacrificio di migliaia di giovani, corsi generosi – con la generosità tipica dell’essere sportivo – in difesa della patria. L’offerta dei giovani italiani fu rilevante per la Grande Guerra: le palestre si spopolarono, così i campi sportivi, i campionati si interruppero, lo sport andò in guerra. Si è calcolato che gli sportivi di livello caduti tra il 1915 e il 1918 sui campi, nei cieli e sui mari di guerra furono almeno cinquecento, tra atleti, dirigenti e giornalisti. Per la seconda guerra mondiale sarebbe complicato calcolarlo, perché le vittime sono state almeno 6 volte di più, 60 milioni contro i 10 del primo conflitto, soprattutto civili.
Lo sport ha offerto un gran numero di vittime e di eroi. Gli studi dei nostri maggiori storici dello sport italiani, tra cui primeggia Sergio Giuntini, lo testimoniano con il ricordo di decine e decine di nomi di sportivi famosi passati nelle fila dei partigiani. Nell’infuriare della guerra non c’è più tempo da dedicare allo sport, piuttosto si pensa a resistere. Dai campi sportivi ci si torna a fronteggiare su quelli bellici, ciò avverrà anche tra compatrioti. È la guerra civile, dove si mira unicamente alla distruzione totale del nemico. Difficile, si diceva, trovare delle connessioni tra quella guerra spietata e barbara e lo sport. A meno che non si pensi alla generosità, al coraggio, alla forza e alla resistenza, questa volta intesa in senso fisico, degli sportivi. Essi hanno fatto parte dei combattenti di quel tragico momento per motivi di anagrafe e per le loro caratteristiche doti psicofisiche. Come ha esordito al seminario di Marzabotto Andrea Marchi, già sindaco di Monzuno, teatro assieme ad altri paesi dell’Appennino bolognese dell’eccidio di quel tragico autunno del 1944, e attualmente vicepresidente dell’Istituto Parri di Bologna, per fare i partigiani bisognava essere sportivi, valenti nel fisico e nel morale.
Così anche lo sport ha avuto la sua Resistenza, incarnata da personaggi famosi e di alcuni si è parlato nelle giornate di studio a Marzabotto, ad esempio del calciatore Carlo Castellani, morto nel campo di Gusen, o del velocista Manlio Gelsomini, morto il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Basta trovare le prove, come dice lo storico Sergio Giuntini nella Prefazione al suo libro (Sport e Resistenza, Sedizioni 2013), cercando, scavando a fondo “attingendo a molteplici fonti documentarie: storiografia dello sport e dell’età contemporanea, memorialistica, letteratura, testimonianze orali; all’annalistica particolare sulle diverse discipline: calcio, ciclismo, automobilismo, alpinismo, rugby, pugilato ecc.; agli strumenti materiali della lotta partigiana: su tutti la bicicletta; agli elementi simbolici dell’immaginario: i “nomi di battaglia” dei resistenti; agli atti giudiziari […]e soprattutto ai casi singoli: storie di uomini e donne, campioni e non. […] storie che vengono a formare un ricco tessuto di memoria collettiva”. Sergio Giuntini è intervenuto in Aula consiliare di Marzabotto il 16 aprile per parlare (nella sua lezione seguitissima dai ragazzi intervenuti al Seminario nelle due giornate d’apertura – due classi dell’istituto comprensivo “Don Milani” di Monza con le loro prof. Patrizia Zocchio di ed. fisica ed Elena Paradisi di lettere e due classi analoghe di Marzabotto) di alcune delle specialità sportive più coinvolte dalla guerra: l’alpinismo, già protagonista della 1° gue
rra mondiale come anche il ciclismo e il calcio, e poi di alcune altre nuove specialità emergenti, perché il periodo tra le due guerre ha segnato l’esplosione dello sport e di un suo strutturarsi alla ricerca di un nuovo equilibrio. E’ questo uno dei tòpoi storiografici più battuti al momento dai nostri storici: la ricostruzione dello sport nel secondo dopoguerra, e su di questo aspetto si è più volte tornati nel corso del Seminario.
Ricordiamo rapidamente gli interventi che si sono svolti subito dopo i canti partigiani realizzati dal coro locale de”Gli scariolanti”, una sferzata di energia per tutti, oltre che un omaggio alla Resistenza. Questi canti hanno fatto da intermezzo tra i saluti delle Autorità e l’inizio delle relazioni. Tra le prime sono intervenuti il delegato regionale Fibs Vincenzo Mignole (che ha confermato la grande generosità della partecipazione della Fibs al Seminario) e Barbara Trevisan, l’autrice, con i suoi studenti dell’istituto comprensivo di Scandicci, della suggestiva Mostra “Campioni nella memoria. Storia di atleti deportati nei campi di concentramento”, atleti non solo ebrei, ma che semplicemente non si erano allineati alle ideologie naziste e fasciste. Una Mostra nata “dalla convinzione che la trasmissione della memoria spetti a tutti […] e che le storie delle singole persone possano essere la testimonianza più forte e incisiva per le nuove generazioni”. Con lo scopo di “osservare la più grande tragedia del ventesimo secolo anche dal punto di vista sportivo.”
Il primo a parlare è stato Andrea Marchi che ha ricordato alcuni degli eventi di quel tragico periodo della nostra storia, sottolineando come i partigiani dovessero essere, per sopravvivere alla vita di fatica e stenti che facevano, anche degli sportivi. È seguito Paul Dietschy, dell’Università di Besançon e del Centro di storia delle scienze sociali di Parigi diretto da Patrick Clastres, con un intervento in ottica comparativa che ha messo in luce il “corpo sportivo della resistenza” in Italia e in Francia.Patrizia Dogliani, del Dipartimento di Storia, cultura e civiltà dell’Università di Bologna, ha poi ricordato alcuni passaggi chiave dello sport durante il fascismo, sottolineando il ruolo interessante di protagonisti di alcuni dirigenti del sistema sportivo di regime nel momento di passaggio tra dittatura e democrazia. Si è poi parlato di Carlo Castellani con Paolo Bruschi dell’amministrazione comunale di Empoli, presente lo stesso figlio del calciatore scomparso a Gusen, quindi con Nicola Sbetti delle continuità e discontinuità fra fascismo e dopoguerra rappresentata dai tre membri italiani del CIO (Bonacossa, Thaon di Revel e Vaccaro), della tragica parabola di Manlio Gelsomini con Valerio Piccioni, di staffette partigiane con Silvia Lolliche ha trasmesso anche l’intervista a Gabriella Zocca e Lidia Menapace, protagoniste di quel tragico momento. Ha chiuso la giornata Marco
Impiglia, responsabile editoriale della Siss, che ormai da alcuni tempi ci ha abituato alle no
vità e alle sorprese con i suoi scoop storiografici. Nella fattispecie Marco Impiglia ha presentato un’intervista fatta anni fa al pallanuotista Ivo Bitetti, all’epoca partigiano nei pressi di Como, il quale aveva riconosciuto il Duce in fuga. La giornata di studi si è dunque arricchita di filmati di interviste e di testimonianze varie molto seguite dal pubblico.